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Unep: le migliori tecniche per ridurre l’inquinamento da plastica nelle acque

Nel 2018 la produzione globale di prodotti in plastica ha raggiunto 360 milioni di tonnellate. Ogni anno otto milioni di tonnellate di rifiuti arrivano negli oceani. Ma le nuove tecnologie possono favorire il cambiamento. 3/02/21

Economica, leggera, facile da maneggiare, spesso l'opzione migliore per alcune applicazioni. A causa delle sue caratteristiche, la plastica, anche in forma di microplastica, è comunemente utilizzata: imballaggi, materiali da costruzione, componenti automobilistici, prodotti per la casa, cosmetici, vernici, detersivi in ​​polvere e persino nei prodotti per il tempo libero. A fronte di una produzione sempre più elevata, cresce la quantità di rifiuti plastici che rischia di finire nell’ambiente, con conseguente contaminazione di fiumi, laghi e oceani. 

“Water pollution by plastics and microplastics: a review of technical solutions from source to sea” è il nuovo studio del Programma delle Nazioni unite per l'ambiente (Unep) e dell'International water management institute (Iwmi), pubblicato in dicembre, che offre una serie di soluzioni tecnologiche volte ad affrontare uno dei problemi più urgenti al mondo: l’inquinamento da plastica.

“La gestione dei rifiuti nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo è un'attività costosa, che richiede molta manodopera e con margini ridotti, il che spiega perché gran parte dei rifiuti è gestita in maniera inadeguata” dichiara Mark Smith, direttore generale di Iwmi. “Le acque reflue provenienti da ambienti urbani residenziali, industriali e commerciali sono piene di contaminanti tra cui plastica, microplastiche e altri detriti.  È molto importante ridurre e rimuovere la plastica prima che entri negli impianti di trattamento delle acque reflue o nei corpi d'acqua dolce" conclude.

Lo studio analizza soluzioni tecniche preventive a monte e a valle, pensate sia per la macro che per le microplastiche. Una gestione adeguata degli scarti di plastica, rileva il report, è il primo passo verso il controllo dell'inquinamento. È necessario aumentare le percentuali di riciclo e garantire la giusta disponibilità di impianti per il trattamento. Le tecnologie e i sistemi di gestione dei rifiuti devono essere “finanziariamente sostenibili, tecnicamente fattibili, socialmente e legalmente accettabili, oltre che rispettosi dell'ambiente”. Tra le migliori tecnologie per i trattamenti a monte, afferma il Rapporto, c’è l’utilizzo di filtri particolari per il trattamento degli effluenti da lavatrici domestiche o da lavanderie self service. Nel mondo vengono utilizzate più di 800 milioni di lavatrici, e si stima che circa il 35% delle microplastiche negli oceani provenga dal lavaggio di tessuti sintetici. Per questo alcune società stanno lavorando a questa nuova tipologia di filtro che al momento però ha ancora costi elevati, circa 130 dollari all’anno a famiglia.

Per il trattamento a monte delle acque reflue, lo studio evidenzia diverse soluzioni tecnologiche. Per le microplastiche si annoverano ad esempio i bacini di infiltrazione e i cosiddetti “gully pots”. I bacini di infiltrazione sono una tecnica di sedimentazione su terreno poroso che permette la rimozione delle microplastiche con il naturale deflusso. Questo metodo consiste nel lasciar sedimentare l’acqua piovana fino a quando si infiltra naturalmente nel sottosuolo, arricchendo le riserve d’acqua sotterranee e lasciando sul fondo del bacino le microplastiche. I gully pots sono piccoli pozzetti nei canali di scolo urbano che fungono da punti di ingresso del deflusso. Il loro scopo principale è quello di trattenere i sedimenti contenenti microplastiche che altrimenti entrerebbero nei sistemi fognari. La loro efficienza, se mantenuti in buono stato, può arrivare a rimuovere fino all’80% delle microplastiche.

Per le macroplastiche, tra i sistemi più innovativi troviamo i “booms” e i “debris fins”. I booms sono delle barriere galleggianti, solitamente ancorate alle sponde, che hanno il compito di bloccare le macroplastiche galleggianti. Ottimi per la raccolta dei rifiuti superficiali, non richiedono l’installazione di strutture permanenti ma, di contro, non riescono a trattenere i rifiuti plastici presenti sotto la superficie dell’acqua. I debris fins sono vere e proprie barriere immerse nel corso d’acqua che partono dal canale interno dei ponti. Mentre i booms sono progettati per impedire che i rifiuti galleggianti viaggino a valle, o per allontanare la plastica lontano da strutture come ponti o dighe, i debris fins invece hanno lo scopo di orientare i detriti di grandi dimensioni verso i bordi esterni, in modo da poterli recuperare con facilità.

Per il trattamento a valle delle acque, tra le migliori tecnologie dedicate alle microplastiche troviamo le zone umide, un sistema di trattamento basato sulla natura, noto per la capacità di migliorare la qualità dell'acqua facendo affidamento sui processi naturali che coinvolgono la vegetazione, il suolo e le colonie microbiche presenti per filtrare l'acqua. Per i contaminanti convenzionali, i meccanismi di rimozione avvengono principalmente attraverso la trasformazione e l'assorbimento da parte di microbi e piante in sedimenti organici e inorganici. Le piante e i microbi assorbono i nutrienti e abbattono i contaminanti attraverso processi biologici (biodegradazione). Per le macroplastiche, esempi di migliori tecnologie annoverano l’utilizzo di barche o di “sea bins”. Le barche sono progettate appositamente per raccogliere la plastica dalle superfici dei fiumi. Usano degli skimmer per raccogliere la plastica mentre la barca si muove lungo la superficie dell'acqua. I sea bins invece sono veri e propri bidoni della spazzatura galleggianti nell'acqua. Ogni bidone è collegato a un bacino e alimentato da una pompa che aspira l'acqua dall'apertura superiore e attraverso un sacchetto filtro nella parte inferiore, raccoglie le particelle galleggianti, compresa la plastica.

Scarica il Rapporto

 

di Tommaso Tautonico

mercoledì 3 febbraio 2021

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