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Fondazioni: cinque leve per fare sistema nella lotta alle disuguaglianze

Preparare territori e attori chiave, dare continuità agli interventi, usare dati e linguaggi condivisi. Lo short paper del Gruppo di lavoro ASviS “Fondazioni per lo sviluppo sostenibile” presentato a Philanthropy Experience 2023.  10/11/23

venerdì 10 novembre 2023
Tempo di lettura: min

Le Fondazioni e gli enti filantropici presentano numerose iniziative e progetti volti a ridurre le diseguaglianze nei territori lungo l’intero Paese. Si tratta di esperienze diverse tra loro per obiettivi, declinazioni tematiche, beneficiari e comunità coinvolte, processi e modalità di azione. In questa loro molteplicità, è possibile individuare leve prioritarie da rafforzare per migliorare la capacità sistemica delle Fondazioni stesse? È a partire da questa domanda che le 31 realtà aderenti al Gruppo di lavoro trasversale dell’ASviS nel corso del 2023 hanno condiviso pratiche, raccontandosi le difficoltà riscontrate e discutendo insieme su possibili soluzioni.

Come il filo conduttore che quest’anno ha accompagnato la due giorni della Philanthropy Experience svolta a Siena – La filantropia al lavoro su senso e soluzioni. Sperimentare, fallire, apprendere, migliorare – il Gruppo si è interrogato sul senso di contribuire come Fondazioni a obiettivi di coesione sociale, su fattori di difficoltà e su elementi di miglioramento. Cinque le leve emerse come punti di attenzione per una maggiore capacità di queste organizzazioni nella lotta alle disuguaglianze e al favorire più in generale un cambiamento sistemico di lungo periodo in sinergia con gli altri attori coinvolti, anche in relazione al complesso scenario di sviluppo sostenibile.

Proprio nella cornice di Siena, il 6 novembre, il Gruppo ASviS ha avuto l’opportunità di discutere il documento che le presenta. In particolare, nella sessione “Abilitatori e vincoli nella lotta alle disuguaglianze per raggiungere l’Agenda 2030” moderata da Marisa Parmigiani (coordinatrice del Gdl ASviS Fondazioni e direttrice della Fondazione Unipolis), a cui hanno partecipato Tiziana dell’Orto (segretaria generale EY Foundation onlus e direttrice EY Corporate Responsibility & Sustainability, nonché membro del Gdl ASviS), Marco Tognetti (docente di Economia, marketing e management presso Isia Firenze, Università di design del comparto Mur Afam) e Alessia Zabatino (Gruppo di coordinamento Forum disuguaglianze diversità). Gli speaker hanno portato il punto di vista interno ed esterno al Gruppo quali soggetti esperti su pianificazione, programmazione e valutazione, terzo settore, politiche pubbliche, imprenditoria e innovazione sociale.

Le fondazioni come ponti tra le parti, l’importanza di percorsi di abilitazione e governance condivise

Le prime due leve, la prontezza del contesto e l’accompagnamento al Terzo settore, raccontano di come spesso il territorio e gli enti coinvolti non risultino pronti ad accogliere le azioni immaginate dalle Fondazioni, rallentandone o ostacolandone l’implementazione. Esigenze burocratiche, vincoli normativi e rigidità strutturali, ma anche l’inadeguatezza delle competenze, la resistenza al cambiamento e la complessità dei processi sono criticità condivise, soprattutto in merito a pratiche per la lotta alle disuguaglianze in cui permangono dinamiche di resistenza culturale.

Nel Paper si suggerisce l’importanza di promuovere un lavoro di informazione, formazione e accompagnamento mirato per abilitare i territori e le persone e renderli maggiormente consapevoli. Al centro la rilevanza di governance condivise: la costruzione di alleanze, pur essendo molto onerosa, può aiutare a non disperdere le energie, ad attivare strumenti di integrazione e a costruire processi di cambiamento duraturi. In questo, le Fondazioni possono fare da ponte tra le parti facilitando il dialogo e il coinvolgimento dei partner per farli diventare co-protagonisti delle trasformazioni, favorendo altresì un cambiamento culturale sul valore che progetti di questo tipo possono avere per la cittadinanza nel suo complesso.

Interessanti le questioni emerse dagli esperti alla sessione che aprono a nuovi stimoli. Innanzitutto, si sottolinea come la non prontezza del contesto e degli attori può essere in alcuni casi un assunto di base, se è vero che le Fondazioni ponendosi come innovatori propongono processi dirompenti che necessitano di competenze nuove e diverse. Diventa sempre più fondamentale allora la consapevolezza di questi percorsi di abilitazione citati nel documento.

Per dare ai territori la possibilità di comprendere le disuguaglianze e di avere le capacità di operare e di essere quindi definibili “pronti”, si evidenzia inoltre l’urgenza di scardinare quei sensi comuni sul tema per cui le condizioni di povertà sono percepite come frutto di pigrizia e incapacità di cogliere opportunità. L’invito è di usare una comunicazione che, anche attraverso strumenti più “caldi” come arte e divertimento, possa avere impatti sul cambiamento delle interpretazioni. Nella costruzione di alleanze, si suggerisce infine di tenere a cuore il reale valore di collaborazioni costruite con azioni sartoriali, evitando partenariati che seguano logiche opportunistiche ma avendo la pazienza di costruire connessioni virtuose che, anche se lentamente, potranno diventare essenziali.

Le progettualità delle fondazioni come parti integranti del modo di operare di un territorio

Con la terza e la quarta leva, l’efficacia prolungata degli interventi e la valorizzazione della dimensione collettiva, si mette in luce l’esigenza di innescare logiche che diano continuità agli effetti e che incoraggino un lavoro a livello di ecosistema. La difficoltà a mantenere alto l’ingaggio dei beneficiari, l’indisponibilità di risorse e l’insostenibilità economica nel tempo, sono le principali criticità condivise nell’implementare progetti che sappiano generare risultati strutturali. Al contempo, per permettere una riflessione e un disegno corali su temi di contrasto alle disuguaglianze, assume un forte rilievo la dimensione collettiva di questi, pur basandosi spesso su interventi fortemente territoriali.

Come indicato nel Paper si sottolinea la necessità di creare le condizioni per dare continuità agli interventi, generando effetti durevoli in termini di trasformazione e lasciando in dote alla comunità di riferimento i benefici del progetto. Risulta necessario incoraggiare un lavoro a livello di ecosistema, facendo emergere l’impatto che le singole pratiche producono a livello sociale e culturale in modo più ampio in termini di sviluppo di capacità, metodi e processi. La dimensione di rete diventa una chiave per poter diventare insieme sperimentatori di cambiamento.

Dal confronto con gli esperti si suggerisce di promuovere l’uso della valutazione come strumento di progettazione per poter leggere i risultati generati, i fattori che li hanno determinati e i loro impatti nel lungo periodo. Pur nella consapevolezza della natura sperimentale di molti interventi delle Fondazioni, è importante essere capaci di riadattare strategie e azioni in casi di insuccesso, sapendo che al centro di queste ci sono di fatto persone e storie di vita vere.

La dimensione collettiva è da interpretare anche come condivisione di traiettorie tra interventi filantropici ed enti pubblici valorizzando il loro essere complementari. Questo si potrebbe tradurre nel costruire tavoli di progettazione multistakeholder e nel lavorare, diversamente da quanto solitamente accade oggi, con gli stessi tempi di programmazione tra pubblico e privato. 

La rilevazione di dati e il racconto di buone pratiche per una consapevolezza diffusa dei fenomeni

La quinta leva ci parla di significatività dei dati e storytelling positivo mettendo in luce come, in merito al tema delle disuguaglianze, ci sia una mancanza di dati e indicatori oltre che di narrazioni e linguaggi condivisi, con una conseguente lettura frammentata dei fenomeni sui quali strutturare programmi e obiettivi di miglioramento.

Risulta importante promuovere ricerche pubbliche di monitoraggio dei fattori di disuguaglianza per ricostruire adeguatamente gli scenari entro i quali definire le politiche. Il racconto di casi positivi e buone pratiche, ad oggi scarso se non nullo tra le comunità e sui tavoli dei decisori, risulterebbe una chiave strategica per portare in primo piano le istanze, per discuterne e promuovere un dibattito aperto e propositivo a riguardo.

Anche dal confronto pubblico il tema dei dati emerge come cruciale. Si sottolinea il possibile ruolo di advocacy degli enti filantropici in questo sforzo comune di ricerca di dati quantitativi, ma anche qualitativi, e di lavoro verso un lessico condiviso sulle disuguaglianze.

Nell’esercizio di una narrazione comune, bisogna lavorare tenendo conto degli aspetti propri della comunicazione, che richiedono chiarezza, accessibilità e immediatezza, mantenendo la complessità degli argomenti, del linguaggio istituzionale e soprattutto dell’importanza di prevedere un ingaggio sincero con le comunità, producendo racconti collettivi di processi e non solo di progetti.

Allo storytelling positivo, si suggerisce infine di affiancare anche il racconto di percorsi di insuccesso per l’apprendimento comune. Come abbiamo imparato a Siena in questi due giorni, proprio dal fallimento si può infatti apprendere, migliorare e innovare.

Scarica lo short paper

 

di Laura Baiesi, project manager Fondazione Unipolis e referente Gruppo di lavoro ASviS Fondazioni

 

Fonte copertina: Paolo Lazzeroni (2023)

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