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Rapporto economia circolare: “Tutti ne parlano, ma pochi la mettono in pratica”

L’allarme del Circularity gap report: tasso globale fermo al 7,2%, in cinque anni consumati 500 miliardi di tonnellate di materiali. Necessario spostare sussidi su pratiche rigenerative e professioni green. [VIDEO]  14/2/24

mercoledì 14 febbraio 2024
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Nonostante l’economia circolare sia un megatrend consolidato, gli obiettivi non si sono tradotti in azioni concrete con impatti misurabili. Lo rileva l’edizione 2024 del “Circularity gap report” pubblicato a fine gennaio dalla Circle Economy Foundation in collaborazione con Deloitte. Negli ultimi cinque anni, sottolinea il Rapporto, il volume di discussioni, dibattiti e articoli sul tema dell’economia circolare è quasi triplicato. Eppure, il tasso di circolarità globale è sceso dal 9,1% del 2018 al 7,2% del 2023, rimanendo stabile quest’anno. In questo periodo l’umanità ha consumato 500 miliardi di tonnellate di materiali. Si tratta del 28% di tutti i materiali che consumati dal 1900. Insomma, per usare la sintesi della ricerca, “tutti parlano di economia circolare, ma pochi la mettono in pratica”.

Limiti superati

 Sei dei nove “confini planetari” chiave che misurano la salute ambientale della terra, dell’acqua e dell’aria sono in gran parte superati a causa degli impatti del classico schema di economia lineare “take-make-waste”.

I principali sistemi globali (alimentare, costruzioni e manifatturiero) esercitano una pressione fortissima sui sistemi terrestri, superando i limiti di sicurezza dei confini planetari. Il sistema alimentare è responsabile di un quarto del superamento dei limiti planetari del cambiamento climatico a causa della sua produzione di gas serra. Se guardiamo al settore delle costruzioni, che comprende abitazioni, edifici commerciali e infrastrutture per la mobilità, scopriamo che l'estrazione dei minerali utilizzati per produrre materiali da costruzione è responsabile di un quarto del cambiamento globale dell'uso del suolo. Non va meglio al settore manifatturiero. Nonostante le industrie per la produzione di veicoli, prodotti tessili ed elettrodomestici diano lavoro a milioni di persone, i processi di produzione si basano principalmente sui combustibili fossili, determinando un terzo del superamento dei limiti planetari del cambiamento climatico a causa della produzione di gas serra.

Mai come in questo momento, continua il Rapporto, abbiamo bisogno di un’economia circolare. Sebbene il consumo materiale sia stato determinante nell’innalzare gli standard di vita nel secolo scorso, abbiamo raggiunto un punto nella storia in cui la sua continua accelerazione, soprattutto nei Paesi ad alto reddito, non garantisce più un aumento del benessere.

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Le proposte chiave

Senza un’azione coraggiosa e urgente per passare a un’economia circolare, osserva il Rapporto, suggerendo una strategia basata su tre punti: politiche adeguate, finanziamenti, competenze e manodopera. 
Le politiche possono incentivare le pratiche sostenibili penalizzando quelle più dannose. I Paesi più ricchi, ad esempio, potrebbero adeguare le normative nei settori dell’edilizia, incentivando l’ammodernamento e il riutilizzo degli edifici (e dei loro componenti e materiali), sviluppare certificazioni per il riciclo dei materiali da costruzione, definire standard per la durabilità dei prodotti e rafforzare la legislazione sul diritto alla riparazione. Nei Paesi a medio reddito, la promozione dell’agricoltura e delle produzioni circolari deve essere una priorità. I governi locali potrebbero, ad esempio, imporre divieti e limiti all’inquinamento, imporre schemi di responsabilità estesa del produttore e richiedere una quantità minima di materiali recuperati per le nuove costruzioni. I Paesi a basso reddito potrebbero dare priorità allo sviluppo sostenibile attraverso politiche circolari in edilizia e in agricoltura, garantendo i diritti dei piccoli agricoltori e incentivando l’uso di materiali locali.

Per sbloccare i finanziamenti in edilizia e nelle produzioni circolari nei Paesi ad alto reddito, lo studio suggerisce di ripensare gli standard e le pratiche economiche, introducendo tasse per aumentare il prezzo dei prodotti non sostenibili.
Nelle economie emergenti, i governi possono spostare i sussidi su pratiche pulite e rigenerative. ‍I fondi per lo sviluppo e la giusta transizione potrebbero essere utilizzati nei Paesi a basso reddito per sostenere misure circolari in settori chiave come l’agricoltura rigenerativa e la pianificazione urbana intelligente.

Infine, conclude il Rapporto, è necessario garantire una giusta transizione colmando il divario di manodopera e competenze. Questo significa che i programmi di studio, soprattutto quelli dell’istruzione professionale, dovrebbero includere discipline e competenze “green”. I corsi potrebbero essere una soluzione per soddisfare la crescente e immediata domanda di green jobs, come tecnici delle energie rinnovabili e specialisti delle riparazioni. Inoltre, i Paesi in via di sviluppo potrebbero formalizzare l’occupazione informale e puntare sui lavori emergenti rendendoli dignitosi, inclusivi e ben retribuiti per garantire una transizione giusta per tutte e tutti.


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di Tommaso Tautonico

 

Fonte copertina: 9dreamstudio, da 123rf.com

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